Central and East European
Society for Phenomenology

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Tecnica e soggettività

Edmund Husserl e Bernard Stiegler

Simone Aurora(University of Padova)

pp. 21-44

Lines

Introduzione: la questione della tecnica

1La technique et le temps 1: La faute d’Épiméthée è il primo capitolo di una trilogia pubblicata da Bernard Stiegler tra il 1994, anno in cui viene dato alle stampe il primo volume, e il 2001, anno di uscita dell’ultimo. È solitamente considerata come l’opus magnum del filosofo francese, ovvero come il luogo nel quale la proposta filosofica di Stiegler trova la massima e più completa espressione (Stiegler 1994; 1996; 2001).

2Il nucleo concettuale attorno al quale ruota l'intera opera – e dunque anche questo primo volume, certamente il più influente fra i tre – è costituito da una questione che, ad una prima considerazione, può apparire come la semplice riproposizione di un problema classico che attraversa l'intera tradizione filosofica occidentale – problema di cui, non a caso, si possono ripercorrere le tracce in un orizzonte di pensiero che spazia da Platone a Heidegger ­– ovvero la questione della tecnica1.

3In quest’opera, tuttavia, Stiegler si propone di affrontare il problema della tecnica proprio in opposizione alle modalità attraverso le quali, secondo il filosofo francese, essa è stata tipicamente pensata ­– o, per meglio dire, non-pensata – all'interno della tradizione filosofica occidentale. “Dalla sua origine fino ai nostri giorni”, scrive infatti Stiegler nella prefazione al primo volume de La technique et le temps, “la filosofia ha represso2 la tecnica come oggetto di pensiero. La tecnica è l’impensato” (Stiegler 1994, 11)3.

4Lo scopo dell’operazione filosofica messa in atto da Stiegler, dunque, consiste nel tentativo di pensare compiutamente la tecnica, ovvero di pensare la tecnica in sé. Ciò, tuttavia, non implica alcuna limitazione dello spettro d'analisi entro i rigidi confini di un’in|dagine regionale volta ad isolare e a studiare uno specifico problema filosofico fino all'esaurimento di tutte le sue peculiari potenzialità teoriche; pensare la tecnica significa, al contrario, accostarsi ad un problema fondamentale o, meglio, ad una dimensione originale che condiziona e determina intrinsecamente, e da sempre, il dominio stesso dell’umano. “Nel momento in cui interroghiamo una certa dimensione dell’umanità – economica, ermeneutica, estetica, psicoanalitica, ecc.”, afferma Stiegler in una intervista del febbraio 2015, “troviamo sempre, da qualche parte, la tecnica” (Wambacq & Buseyne 2016, 164). Pensare la tecnica, in altri termini, significa, per Stiegler, pensare l’origine del pensiero stesso.

5La tradizione filosofica, al contrario, avrebbe ridotto la tecnica a quella dimensione che si oppone radicalmente al pensiero, a ciò che ne determina i limiti e che, inoltre, allontana il pensiero dal proprio terreno d'emergenza. L'oggetto tecnico sarebbe, in questo senso, un semplice prodotto o strumento del pensiero. Concepita tradizionalmente come insieme di strumenti prodotti dall’attività umana in vista di un fine, dunque, la tecnica costituirebbe il luogo di una delega, la dimensione di un agire non umano che opera per l’uomo e al posto dell’uomo ma che con la natura essenziale dell'uomo non avrebbe nulla, o molto, a che fare.

6Con lo sviluppo esponenziale delle potenzialità della tecnica nelle moderne civiltà industriali, l’oggetto tecnico diviene inoltre – stando alla ricostruzione proposta da Stiegler nel primo capitolo del testo del 1994 sulla base di un costante riferimento all’opera di Bertrand Gille, André Leroi-Gourhan e Gilbert Simondon – sempre più autonomo, sempre più automatizzato e, di conseguenza, sempre più indipendente rispetto alla mano che lo ha prodotto e sempre più incomprensibile per il pensiero che lo ha concepito. L’automatiz|zazione dell’oggetto tecnico, quindi, tende a rendere sempre più marginale il ruolo di quel soggetto che lo ha costituito, ad obliare cioè quella che, in termini fenomenologici, potremmo chiamare l’origine intenzionale dell'oggetto tecnico stesso, ovvero il suo derivare dall'attività di un pensiero progettante.

7Tale sviluppo impone dunque, secondo Stiegler, di pensare la natura dell’oggetto tecnico non più in termini meramente strumentali – come avrebbe erroneamente fatto la tradizione filo|sofica – poiché nelle moderne civiltà ad industrializzazione avanzata – afferma ancora il filosofo francese – “l'evoluzione tecnica dipende totalmente dallo stesso oggetto tecnico. L’uomo”, infatti, “non è più l’attore intenzionale […]” dello sviluppo tecnologico, “quanto piuttosto il suo operatore” (Stiegler 1994, 80) e, di conseguenza, l’oggetto tecnico non può più essere definito come un prodotto strumentale semplicemente al servizio dell’umano. “Nell'epoca industriale”, continua Stiegler, “l'uomo non è più l'origine intenzionale di quelle individualità tecniche, considerate separatamente, che sono le macchine. Piuttosto, egli è l'esecutore di una quasi-intenzionalità, di cui si fa portatore l'oggetto tecnico stesso” (Stiegler 1994, 81).

8Gli oggetti tecnici, secondo Stiegler, richiedono quindi una trattazione più complessa e devono essere descritti – questa la proposta teorica avanzata dall'autore – come degli “enti ad organizzazione inorganica”. Essi possiedono, infatti, una propria struttura, autonoma e indipendente, e sono tanto irriducibili alla biologia, quale scienza specificamente rivolta all’organico, quanto alla fisica, quale scienza specificamente rivolta all’inorganico. “Tali organizzazioni non organiche della materia”, scrive Stiegler, “sono attraversate da una propria dinamica che, seppur connessa alla dinamica della fisica e della biologia, non può essere ridotta a loro semplice somma o prodotto” (Stiegler 1994, 30). Esempio emblematico che testimonia della natura ibrida della tecnica e della sua necessaria coappartenenza all’umano, di cui dunque non rappresenterebbe più il semplice opposto dialettico, è costituito dal linguaggio. “La tecnica”, scrive Stiegler, “costituisce un sistema”, ovvero una forma di organizzazione, “nella misura in cui non si lascia interpretare come un mezzo – ciò vale anche per l’evoluzione del linguaggio in Saussure, visto che il linguaggio forma un sistema estremamente complesso che sfugge alla volontà di coloro che lo parlano” (Stiegler 1994, 38). Come ogni oggetto tecnico, infatti, il codice linguistico non può essere descritto come un mero strumento a disposizione del parlante; il parlante, infatti, si trova spesso nella condizione di essere strumento del linguaggio stesso: non c’è solo un parlante che parla nel linguaggio ma c’è sempre anche un linguaggio che parla nel parlante. Tali considerazioni pongono in questione la tradizionale relazione genetica tra dimensione umana e dimensione tecnica o, in altri termini, tra soggetto ed oggetto. La tecnica è prodotto e strumento dell’umano o non è forse il contrario, non è forse l’umano ad essere prodotto e strumento della tecnica? Ma se è la tecnica a produrre l’umano, non è forse la tecnica a dover ricoprire il ruolo del soggetto, il ruolo del “chi”, lasciando all’umano il posto dell’og|getto, ovvero del “che cosa”?

9L’impostazione data da Stiegler al problema della tecnica sembra dunque chiamare in causa due degli elementi più qualificanti di un orientamento che voglia dirsi fenomenologico, in particolare nella forma che esso ha assunto nella filosofia di Husserl – certamente fra gli autori di riferimento delle analisi di Stiegler – ovvero la questione della costitutività della coscienza intenzionale – almeno per come questo problema è stato generalmente concepito – da un lato, e della distinzione tra conoscenza propria e impropria – ovvero tra intuizione e rappresentazione – dall’altro.

Tecnica e linguaggio

10Prima di volgere l'attenzione alle questioni appena ricordate – ovvero il problema della costituzione intenzionale e della distinzione tra intuizione e rappresentazione – è opportuno soffermarsi ancora un poco sul tema del linguaggio, della lingua come oggetto tecnico; più specificamente, è necessario svolgere alcune considerazioni circa i processi di automatizzazione che, in maniera sempre più insistente, sembrano invadere il campo del linguaggio e, più in generale, della produzione segnica, con dinamiche analoghe a quelle che caratterizzano i processi di automatizzazione che, nelle moderne civiltà ad industrializzazione avanzata, interessano tutti i settori della produ|zione.

11Come André Leroi-Gourhan – autore, come già ricordato, fondamentale per le riflessioni stiegleriane – ha brillantemente mostra|to, del resto, tecnica e linguaggio si sono evoluti parallelamente, in un rapporto di inscindibile e reciproca presupposizione: “esiste la possibilità di un linguaggio”, scrive l'antropologo francese, “a partire dal momento in cui la preistoria ci tramanda degli utensili, perché utensile e linguaggio sono collegati neurologicamente e perché l'uno non è dissociabile dall'altro nella struttura sociale dell'umanità” (Leroi-Gourhan 1977, 136)4.

12Tanto la tecnica quanto il linguaggio, infatti, possono essere descritti come il prodotto di un processo di “esteriorizzazione” della memoria: quando uno strumento si separa dalla mano che compie il gesto e diviene così da essa indipendente, una memoria esteriore, sociale o culturale – in altri termini, un linguaggio – si manifesta come presupposto necessario. “La tecnica è contemporaneamente gesto e utensile, organizzati in una con­catenazione” – in un protocollo, per utilizzare un termine più volte ripreso nei saggi di questo volume – “da una vera e propria sintassi che conferisce alle serie operative fissità e duttilità al tempo stesso. La sintassi operativa è proposta dalla memoria e nasce tra il cervello e l’ambiente materiale” (Leroi-Gourhan 1977, 137). L'oggetto tecnico non è altro che un prodotto in cui si concentra la serie ordinata dei gesti che sono stati necessari a realizzarlo in vista di un fine, non è altro, quindi, che la concrezione di quelle operazioni neuronali che sono state attivate per dare alla materia una forma precisa adatta ad uno specifico scopo: è, in altri termini, il riassunto delle procedure che l'hanno intenzionalmente prodotto, ciò che Leroi-Gourhan definisce appunto come l'esito di un processo di “esteriorizzazione della memoria”. Questo processo di esteriorizzazione non è solo ciò che rende possibile l'oggetto tecnico in quanto tale ma è anche ciò che costituisce la condizione di possibilità di ogni prestazione, in senso lato, semiotico-linguistica: la capacità umana di selezionare e combinare serie di operazioni gerarchicamente ordinate in vista di un fine, presuppone infatti una discorsività originaria, una sintassi fondamentale che sottende alla possibilità di porre in relazione ciò che è conservato nella memoria (ritenzione) con ciò che è progettato nell'im|maginazione (protensione). Tanto l'oggetto tecnico (freccia) quanto il segno (la parola “freccia”) sono memoria esteriorizzata, sono cioè elementi in cui si concentra una specifica serie di operazioni, in cui è contenuto uno specifico protocollo: senza tale memoria, non ci sarebbero oggetti tecnici – ma solo cose con una certa forma – né potrebbero esserci parole – ma solo suoni con un certo timbro e una certa intensità.

13Di conseguenza, non si può dare tecnica senza linguaggio né, viceversa, linguaggio senza tecnica. Oggetti tecnici e dispositivi linguistici non sono altro che forme complementari di ciò che, utilizzando uno dei concetti più importanti introdotti da Stiegler, possiamo chiamare ritenzione terziaria, nella misura in cui permettono entrambi una spazializzazione cumulativa e una materializzazione della memoria neuronale individuale che costituisce la condizione di possibilità di ogni capacità ritenzionale (memoria), protensionale (immaginazione) e, dunque, di ogni forma di coscienza5.

Calcolo e pensiero

14Il problema della distinzione tra conoscenza propria, basata su una relazione immediata e diretta all’oggetto, e una conoscenza impropria o simbolica, che deriva invece da una relazione mediata e indiretta, cioè tra intuizione e rappresentazione, costituisce un problema fondamentale della fenomenologia husserliana, tanto da costituirne un Leitmotiv, dalla Filosofia dell’aritmetica (Husserl 2001)6 fino alla Crisi delle scienze europee (Husserl 2002).

15“Una rappresentazione simbolica o impropria”, scrive Husserl nelle prime battute dell’undicesimo capitolo della Filosofia dell’arit|metica, “come già indica il nome, è una rappresentazione con segni. Se un contenuto non ci viene dato direttamente per quel che è, ma solo in maniera indiretta attraverso dei segni che lo caratterizzano in modo univoco, allora, di esso, anziché avere una rappresentazione propria, si ha una rappresentazione simbolica. Abbiamo”, prosegue quindi Husserl “[...] una rappresentazione propria dell’apparire di una casa se guardiamo davvero la casa stessa; abbiamo una rappresentazione simbolica se invece qualcuno ci fornisce di essa una caratterizzazione indiretta: la casa all’angolo di questa o quella strada, su questo o quel lato della strada” (Husserl 2002, 235).

16Il contenuto di una rappresentazione può dunque darsi in senso proprio, se tale contenuto è presente “in carne ed ossa” (per usare un’espressione tipica dell’Husserl più maturo) o, al contrario, in senso improprio o simbolico se si rimanda a tale contenuto per mezzo di segni, mediante una descrizione definita e, il più possibile, univoca.

17“Una rappresentazione propria e una rappresentazione simbolica a essa connessa”, aggiunge Husserl, “si trovano in un rapporto di equivalenza logica” (Husserl 2002, 236), tale per cui l’oggetto dell’una coincide con l’oggetto dell’altra. I contenuti di una rappresentazione propria e del suo surrogato simbolico sono cioè i medesimi. L’equivalenza logica, tuttavia, non implica necessariamente un’equipollenza epistemologica, nel senso che, stando alle analisi husserliane, le rappresentazioni simboliche sono dei meri, quanto fondamentali (soprattutto in matematica, disciplina oggetto delle analisi della Filosofia dell'aritmetica), surrogati di rappresentazioni proprie, le quali sono dunque, per così dire, originali e, di conseguenza, costituiscono il materiale di base sul quale può successivamente esercitarsi il processo di simbolizzazione. Le rappresentazioni simboliche, dunque, devono sempre poter essere ricondotte, almeno in linea teorica, alle rispettive rappresentazioni proprie se vogliono dirsi legittimamente fondate, cioè razionalmente giustificate.

18Negli anni a cavallo della pubblicazione della Filosofia dell’ari|metica, Husserl partecipa attivamente al dibattito, di ordine squisitamente matematico, sulla giustificazione logico-epistemologica dell’allargamento del domino dei numeri ai numeri complessi. Ciò che è problematico per Husserl – e che lo rende quindi molto cauto, ad esempio, nel giustificare l’utilizzo dei numeri immaginari o, per meglio dire, complessi, che egli infatti subordina ad una serie di severe restrizioni – è il fatto che tali numeri non si lasciano ricondurre, nemmeno in linea teorica, a delle rappresentazioni proprie e quindi, secondo Husserl, non sono in grado di garantire una conoscenza fondata e razionalmente giustificabile, cioè un rapporto originario con l’oggetto. Come Husserl aveva osservato in un manoscritto del 1890, dunque sostanzialmente contemporaneo alla Filosofia dell’arit|metica e intitolato Zur Logik der Zeichen: Semiotik7, infatti, “Nello svolgersi di un rapido flusso di pensieri, i segni sostituiscono (come è stato appena ricordato), senza che lo sappiamo. Noi pensiamo di operare con i concetti effettivi”, cioè propri, ovvero concetti di cui conosciamo l’origine. “Ma anche se, costretti alla riflessione, ci accorgiamo del vero stato delle cose [...]”, prosegue Husserl, “ci accontentiamo, di regola, di semplici sostituti” (Husserl 1984, 75 [corsivo mio]). “Al giorno d'oggi”, aveva osservato Husserl qualche pagina prima, “un bambino, che ha imparato a contare, riesce a fare di più dei più grandi matematici dell’antichità. Problemi che per loro erano appena concepibili e assolutamente insolubili, sono oggi risolti anche da un principiante senza particolare fatica e senza particolare merito” (Husserl 1984, 71). È in questo senso che, in una lunga lettera indirizzata a Carl Stumpf e databile attorno al biennio 1890-1891, Husserl scrive che “calcolare non significa pensare, quanto piuttosto derivare segni da segni in maniera sistematica, in conformità ad un insieme di regole” (Husserl 1994, 159), ovvero in modo automatico. Nella Crisi delle scienze europee, Husserl afferma in un passaggio, peraltro citato da Stiegler, che, ad esempio, l’aritmetizzazione della geometria, cioè la sua formalizzazione in una semiotica di tipo matematico, “porta da sé, in certo modo, a uno svuotamento del suo senso. Le idealità realmente spazio-temporali, così come si rappresentano originariamente nel pensiero geometrico sotto il titolo corrente di “intuizioni pure”, si trasformano per così dire in pure forme numeriche, in formazioni algebriche”, cioè in un linguaggio tecnico. “Nel calcolo algebrico”, continua Husserl, “il significato geometrico passa da sé in secondo piano, anzi cade completamente” (Husserl 2002, 73). “Si opera con lettere dell’alfabeto”, aggiunge, “con segni di collegamento e di relazione e secondo le regole del gioco della loro coordinazione” o, potremmo dire, della loro organizzazione. “Il pensiero originario, che conferisce propriamente un senso a questo procedimento tecnico e una verità ai risultati ottenuti conformemente alla regola [...] è qui escluso” (Husserl 2002, 75). “La tecnicizzazione”, scrive poco più avanti Husserl, “investe inoltre tutti gli altri metodi delle scienze naturali. Non soltanto nel senso che essi si “meccanizzano”. Inerisce all’essenza di tutti i metodi la tendenza ad estrinsecarsi tecnicizzandosi. Così il senso delle scienze naturali subisce una complessa evoluzione; avviene un vero e proprio occultamento di senso”(Husserl 2002, 77 [corsivo mio]). “La tecnicizzazione della scienza”, così commenta questo passo Stiegler, “costituisce il suo accecamento eidetico” (Stiegler 1994, 17).

19Le riflessioni husserliane sui processi di tecnicizzazione del sapere scientifico – nonostante la connessione istituita tra tecnica ed esteriorità che sembra anticipare le analisi svolte da Leroi-Gourhan e, sulla sua scia, da Stiegler – paiono quindi collocarsi all’interno di una tradizionale filosofia della tecnica volta a mostrare i rischi e i pericoli di una tecnica intesa come strumento di potenziale mortificazione dell’umano e di alienazione del pensiero.

20La funzione svolta dal pensiero di Husserl all’interno del ragionamento sviluppato da Stiegler si rivela, tuttavia, molto più complessa e stratificata di quanto non possa apparire ad una prima considerazione. Tale stratificazione emerge all’altezza dell’introduzione, all’interno del dispositivo stiegleriano, del secondo polo concettuale che anima il titolo dell’opera pubblicata a partire dal 1994: il tempo.

Tecnica e tempo

21La tecnica è, secondo Stiegler, coestensiva all’umano. Non vi è, in altri termini, una origine “naturale” dell’umano8. L’umano è tale solo in quanto è tecnico. “L’uomo”, sostiene Stiegler sulla base delle analisi condotte da Leroi-Ghouran, “si inventa nella tecnica inventando l’utensile” (Stiegler 1994, 152), cioè esteriorizzandosi. È cioè l’oggetto tecnico, inteso come “materia inorganica auto-organizzata” (Molinar Min & Piatti 2016, 39), a conferire all’umano la sua cifra più propria. È, in altri termini, ciò che Stiegler chiama organizzazione della materia inorganica9 – ciò che è proprio, come si è visto, della dimensione della tecnica – a rendere possibile l’organizzazione dell’organico. L’esterioriz|zazione tecnica, scrive Stiegler, “deve essere compresa non tanto come una rottura nei confronti della natura ma piuttosto come una nuova organizzazione della vita – la vita che organizza l’inorganico organizzando, così, se stessa” (Stiegler 1994, 172). Se nel momento in cui l’uomo fa la sua comparsa, aggiunge Stiegler, “non c’è [ancora] coscienza nel senso di “coscienza creatrice””, ovvero costitutivo-intenzionale, “né, dunque, nel senso di ciò che noi chiamiamo comunemente coscienza, se non c’è che una coscienza tecnica che non è tuttavia il semplice comportamento automatico o programmatico-genetico di un animale fabbricatore, deve esserci anticipazione [...] Anticipazione vuol dire realizzazione di un possibile non determinato da una programmazione biologica”(Stiegler 1994, 160-161). “Non c’è [inversamente] anticipazione, non c’è tempo”, aggiunge ancora il filosofo francese, “fuori da questo passaggio all’esterno, fuori da questa messa fuori di sé e da questa alienazione dell’uomo e della sua memoria rappresentata dall’”esteriorizzazione” (Stiegler 1994, 162). La tempora|lità fa la sua comparsa nella storia del bios solo dal momento in cui vi è anticipazione, cioè nel momento in cui l’uomo si affida all’oggetto tecnico, ovvero ad un qualcosa di estraneo alla vita che, proprio in forza della sua specifica e autonoma struttura, conduce la vita ad esteriorizzarsi, a progettarsi rendendosi oggetto di un futuro possibile. Un uomo senza tecnica sarebbe un uomo eternamente presente, incapace dunque di progettare, di anticipare, di calcolare, di prevedere, un uomo senza storia, senza coscienza del tempo. All’origine dell’umano e, dunque, della coscienza e, più precisamente, della coscienza del tempo si pone, quindi, l’oggetto tecnico inorganico che obbligando la vita ad esteriorizzarsi rende possibile l’avvento di una coscienza temporale, di una coscienza capace cioè di futuro e, dunque, di storia.

22È a quest’altezza che Stiegler riprende le riflessioni husserliane sulla coscienza del tempo. Com’è noto, Husserl sviluppa le proprie riflessioni sulla temporalità a partire da un ciclo di lezioni tenuto a Gottinga nel semestre invernale 1904-190510. Il punto di partenza delle indagini husserliane è l'analisi di quelli che il filosofo tedesco chiama “oggetti temporali”, ovvero “oggetti che, oltre ad essere delle unità nel tempo, contengano anche in sé l'estensione temporale” (Husserl 1992, 59)11. Tra i possibili oggetti temporali, Husserl assegna un ruolo privilegiato, paradigmatico, a fenomeni fonici quali il suono e le melodie musicali12. “L’impressione del suono iniziale passa”, così sintetizza Giovanni Piana l'argomentazione husserliana, “ad essa si sostituisce una nuova impressione, ma l’impressione passata permane in quella presente”, cioè viene ritenuta, “come l’impressione di un suono or ora udito. Nel caso di una successione di suoni”, continua Piana,

la nota che io odo ora, si ricollega ritenzionalmente alle note passate, non nel senso che io ora le ricordo rivolgendomi liberamente ad esse come note passate, ma nel senso che esse permangono come impressioni originarie modificate nell’impressione originaria attuale. Un’analisi analoga dovrà essere compiuta naturalmente anche per il fenomeno corrispondente della protenzione, cioè dell’anticipazione in cui si costituisce una dimensione temporale futura. La continuità dell’impressione originaria del suono, nella quale il suono stesso è dato come oggetto temporale, richiede che il presente nel quale il suono è percepito venga compreso come un continuo fluire in avanti - perché l’impressione originaria anticipa sempre una nuova impressione originaria - e all’indietro, poiché ogni impressione passa e nel suo passare viene ritenuta dalla nuova impressione originaria [...] L’idea di un passato e di un futuro come dimensioni temporali distinte e separate dal presente si costituisce dunque solo a partire dal presente stesso concepito come una continuità ritenzionale e protenzionale (Piana 1966, 130-131).

23La coscienza del tempo, di cui la tecnica è, secondo Stiegler, condizione di possibilità, non è mai dunque semplice coscienza di un “ora”, ma si articola sempre e necessariamente in una coscienza del “non-ancora” e del “già-stato”; la coscienza, in altri termini, è sempre e originariamente memoria e anticipazione.

Coscienza e costituzione

24Benché Stiegler faccia proprie le riflessioni husserliane sulla coscienza del tempo, il filosofo francese sembrerebbe collocare, come già detto, la concezione husserliana della tecnica nell’alveo di un tradizionale pensiero della tecnica, di un pensiero cioè che non riuscirebbe a pensare la tecnica nella sua originaria cifra costitutiva, nella sua funzione genetica in relazione alla coscienza. Per Husserl, e per la fenomenologia in generale, sarebbe infatti la coscienza a costituire intenzionalmente gli oggetti e dunque la tecnica troverebbe la propria origine nel meccanismo intenzionale della coscienza.

25Tuttavia, proprio in riferimento al tema della coscienza e della costituzione, è possibile ritrovare degli elementi che sembrano permettere un'interpretazione della fenomenologia husserliana alternativa a quella proposta da Stiegler. Sulla base soprattutto di quanto sostenuto da Husserl nella Quinta ricerca logica, infatti, è possibile dimostrare come alcune riflessioni husserliane possano, potenzialmente, installarsi all’interno del dispositivo logico che muove la filosofia della tecnica stiegleriana e che si è cercato, seppur concisamente, di presentare, nelle sue linee essenziali.

26Dal punto di vista fenomenologico, la relazione fondamentale alla base di ogni possibile conoscenza risiede nell’intenzionalità, vale a dire nella reciproca correlazione tra le strutture della coscienza e le configurazioni strutturali dei fenomeni, ovvero di ciò che si manifesta alla coscienza come oggetto. Tra i due poli non sussiste, tuttavia, alcuna priorità dal punto di vista ontologico. Seppur alla coscienza spetti una priorità di tipo gnoseologico, poiché è la coscienza che mette in atto il processo conoscitivo, non può darsi, tuttavia, alcuna conoscenza senza le oggettualità che essa intenziona e che le sono, secondo Husserl, sempre già date, così come, parimenti, nessun oggetto sarebbe conoscibile al di fuori della relazione ad una coscienza. Gli oggetti, inoltre, si danno sempre, per Husserl, in un contesto relazionale, in un “campo di pre-datità”, come Husserl scriverà, alla fine degli anni Trenta, in Esperienza e giudizio (Husserl 2007). Il campo di pre-datità in cui gli oggetti si trovano come già da sempre dati ad una coscienza, è un campo organizzato e governato dalle leggi di quella ontologia formale che Husserl aveva sviluppato nella Terza ricerca logica e che non abbandonerà mai nei suoi presupposti fondamentali. Nella Terza ricerca, infatti, Husserl intraprende una fondamentale analisi formale dei possibili rapporti che possono sussistere a priori tra oggetti, dove il concetto di oggetto viene assunto in senso amplissimo, ovvero come contenuto possibile, cioè non contraddittorio, di una rappresentazione13.

27“Gli oggetti”, scrive Husserl dando il via alla Terza ricerca, “possono trovarsi gli uni con gli altri in un rapporto di interi e di parti, oppure anche di parti coordinate di un intero” (Husserl 1968, 19). Un oggetto, cioè, può essere un intero che contiene al proprio interno altri oggetti come parti o può essere una parte coordinata con altre parti all’interno di un intero. “Si tratta qui”, nota Husserl, “di specie di rapporti che si fondano a priori nell’idea di oggetto” (Husserl 1968, 19), cioè di relazioni formali che riguardano ogni oggetto in quanto tale, indipendentemente dalle caratteristiche empirico-materiali che possono identificarlo. Tali rapporti sono, infatti, regolati da quello che potremmo anche definire come il primo “assioma” dell’ontologia formale delineata da Husserl in questa ricerca: “[o]gni oggetto”, così recita tale assioma, “è una parte reale o possibile, cioè vi sono interi reali o possibili che lo includono” (Husserl 1968, 19). Ogni oggetto, in altri termini, è sempre necessariamente parte di un intero, è cioè impossibile che un oggetto sussista in completa e assoluta autonomia, poiché esiste sempre un insieme, reale o possibile, che lo include o che lo può includere; ogni oggetto è dunque necessariamente una parte, è cioè sempre inserito in una rete di relazioni, reali o possibili, che lo connettono ad altri oggetti. A questo punto, Husserl distingue due fondamentali tipi di intero. Vi sono infatti molteplicità costituite da una relazione di implicazione necessaria, ovvero nei termini husserliani di “fondazione” – che possiamo chiamare interi o, come vedremo, strutture o, in termini Stiegleriani sistemi o organizzazioni – e le molteplicità in cui tale relazione manca – e che possiamo chiamare aggregati (Inbegriffe) o semplici insiemi.

28Le analisi mereologiche sviluppate da Husserl nella terza ricerca trovano applicazione anche nelle indagini husserliane sulla struttura della coscienza (Cfr. Sokolowski 1977, 95)14, coerentemente condotte sulla scia dell’impianto antipsicologistico tipico delle Ricerche logiche: la prima preoccupazione di Husserl, in tal senso, è costituita dalla necessità di scindere le caratterizzazioni psicologiche del concetto di coscienza da quelle, invece, propriamente fenomenologiche.

29Vi è infatti un primo senso psicologico in cui si può parlare di flusso di coscienza come “trama dei vissuti psichici” o come unità complessiva dei vissuti. “In questo senso”, scrive Husserl, “sono vissuti o contenuti di coscienza le percezioni, le rappresentazioni fantastiche e immaginative, gli atti del pensiero concettuale, le supposizioni e il dubbio, le gioie e i dolori, le speranze e i timori, i desideri e gli atti del volere, ecc., così come hanno luogo nella nostra coscienza” (Husserl 1968, 138-139).

30La nozione propriamente fenomenologica di vissuto e, di conseguenza, della coscienza intesa come “compagine complessiva” dei vissuti viene, invece, guadagnata proprio attraverso la “neutralizzazione” di qualsiasi riferimento a individui empirico-reali, ovvero a soggetti psicologici. Nella seconda edizione delle Ricerche logiche, Husserl aggiunge un passaggio molto chiaro al riguardo: “Richiamiamo sin d’ora l’attenzione sul fatto che [il] concetto di vissuto può essere inteso in modo puramente fenomenologico, cioè in modo tale che resti neutralizzato qualsiasi riferimento all’esserci empirico-reale (agli uomini o agli animali della natura): il vissuto in senso psicologico-descrittivo […] si trasforma allora in un vissuto nel senso della fenomenologia pura” (Husserl 1968, 140). La coscienza fenomenologica, infatti, si rivela non essere altro che l’unità formale di connessione dei vissuti. “In generale”, osserva Andrea Altobrando, “il soggetto inteso nel quadro che si delinea tra le Ricerche logiche e l’Idea della fenomenologia consiste sostanzialmente in un plesso di vissuti e nelle loro interne articolazioni e relazioni. Abbreviando 'soggetto' con 'S', 'vissuto' con 'v' e 'relazione' con 'r', possiamo schematicamente dire che: S = v1, v2, v3, ..., vn, r1, r2, r3, ..., rn” (Altobrando 2014, 161). Il fatto che tali vissuti “appartengano” ad una qualche coscienza empiricamente determinata, ad un soggetto psicologico umano o animale, non riveste dunque, per la considerazione propriamente fenomenologica, alcuna importanza.

31“Malgrado l’utilizzo, da parte di Husserl, del termine ‹ego› nell’elenco iniziale delle diverse nozioni di coscienza”, scrive Dan Zahavi analizzando la Quinta ricerca, “l’analisi husserliana della natura del flusso di coscienza costituisce fondamentalmente una difesa di quella che può essere definita come una teoria non-egologica della coscienza. Secondo Husserl, non esiste alcun polo egoico – puro e fondato sull’identità – che i diversi decorsi esperienziali condividerebbero, al quale essi si riferirebbero e che, inoltre, condizionerebbe la loro unità. Al contrario, le esperienze non sono stati o proprietà di qualcuno, ma eventi mentali che, semplicemente, accadono […] In altri termini, si dovrebbe mirare a delle descrizioni essenziali delle esperienze e queste descrizioni dovrebbero escludere qualsiasi riferimento ai loro portatori empirici” (Zahavi 2002, 52-53).

32La coscienza, analizzata dal punto di vista della fenomenologia pura, si presenta, quindi, come un intero, una struttura o un sistema. Se consideriamo il concetto di coscienza nel primo senso distinto da Husserl – ovvero come “unità complessiva dei vissuti” – infatti, possiamo descrivere, utilizzando la terminologia della Terza ricerca, la coscienza come un intero di seconda specie o come una struttura a connessione: le sue “parti” indipendenti, cioè non necessariamente implicantesi, sono costituite dai vissuti – i vissuti, infatti, sono parti indipendenti nella misura in cui hanno, come vedremo, una forma autonoma (la struttura del vissuto percettivo, ad esempio, resta la stessa sia che tale vissuto si realizzi effettivamente in una coscienza A o in una coscienza B) – mentre il suo momento di unità è rappresentato dall’io fenomenologico, che è dunque un momento non-indipendente fondato, cioè necessariamente implicato, all'interno della totalità dei vissuti ed è, quindi – e qui sta il punto cruciale – sempre effetto e mai causa della complessione dei vissuti.

33Gli interi di seconda specie o strutture a connessione sono interi le cui parti sono collegate le une alle altre attraverso specifiche forme di connessione. “[C]erti contenuti indipendenti gli uni rispetto agli altri”, scrive Husserl, “[…] fondano nuovi contenuti come ‹forme che li collegano” (Husserl 1968, 67). Una struttura a connessione è cioè, in primo luogo, un intero le cui parti sono costituite da oggetti indipendenti, le cui parti sono cioè delle frazioni. In una struttura a connessione, dunque, gli oggetti non si fondano gli uni negli altri, giacché essi rimangono tra loro relativamente indipendenti, ma fondano altresì tutti insieme un nuovo elemento – necessariamente non-indipendente, ovvero dipendente, rispetto agli oggetti dell’intero – che Husserl chiama “momento di unità” (Einheitsmoment). Il momento di unità è sempre e necessariamente non-indipendente rispetto agli elementi della struttura poiché è da essi fondato, ovvero necessariamente prodotto. La fondazione che contraddistingue le strutture a connessione è, tuttavia, di tipo indiretto. Gli oggetti che compongono una struttura a connessione rimangono, infatti, come già ricordato, fra loro indipendenti ma fondano, tutti insieme e in particolari circostanze, un momento di unità che è dunque, allo stesso tempo – e questo è un punto cruciale – il prodotto della fondazione operata dall’insieme degli oggetti che compongono la struttura e l’elemento che unifica questi stessi oggetti. In altri termini, accade che, in determinate circostanze, alcune relazioni tra oggetti implichino necessariamente, cioè fondino, un momento di unità che emerge dalla rete di rapporti che sussistono tra gli oggetti.

34Ogni qual volta dei vissuti si presentano in una connessione regolata da leggi, cioè, essi producono necessariamente un momento d’unità, il momento “io fenomenologico”. In questo primo senso, dunque, la coscienza può essere descritta come una struttura a connessione che ha come proprie parti indipendenti i vissuti e come proprio momento d’unità l’io fenomenologico. “Così”, osserva ancora Zahavi, “il rapporto tra una singola esperienza e l’ego potrebbe essere descritto nei termini di una relazione parte-tutto […] L’ego”, dunque, “non è qualcosa che fluttua al di sopra delle esperienze ma coincide semplicemente con il loro tutto unificato. Tuttavia, anche se le esperienze sono di fatto unificate, questa unificazione non è dovuta ad una prestazione sintetizzante dell’ego. Al contrario, tale prestazione si rivelerebbe superflua, dal momento che l’unificazione ha già avuto luogo in conformità a leggi intra-esperienziali […] Inoltre, dal momento che l’ego costituisce esattamente il risultato di questa unificazione, esso non può essere qualcosa che la preceda e la condizioni” (Zahavi 2002, 53-54).

35“L’io fenomenologicamente ridotto”, scrive Husserl, “non è quindi nulla di peculiare che si trovi sospeso al di sopra dei molte|plici vissuti, ma si identifica semplicemente con la loro propria unità di connessione” (Husserl 1968, 145 [corsivo mio]). “I contenuti”, continua Husserl, “hanno […] i loro modi, determinati secondo leggi, di confluire insieme, di fondersi in unità più comprensive e, nella misura in cui essi in questo modo si unificano e formano un’unità, si è già costituito l’io fenomenologico o l’unità della coscienza, senza che sia necessario un autonomo principio egologico, portatore di tutti i contenuti, che li unifichi tutti”(Husserl 1968, 145). È senz'altro vero che, in diverse note della seconda edizione del 1913, Husserl osserva come egli non approvi più l’opposizione alla teoria dell’io puro formulata in questa ricerca; tuttavia, queste note non possono incidere, evidentemente, sul senso complessivo del ragionamento che si sta cercando di proporre.

36La coscienza è un intero di cui l’io fenomenologico non è che una semplice parte. L’ego è, infatti, sempre un effetto, una parte non-indipendente dell’intero coscienziale. Esso costituisce il momento d’unità fondato dalla totalità dei vissuti intenzionali e dalla loro autonoma organizzazione e non può rivestire, di conseguenza, alcun ruolo attivo e, per così dire, privilegiato all’interno del campo della coscienza fenomenologicamente intesa. Come scriverà Sartre in un celebre quanto importante saggio del 1936, La trascendenza dell’Ego, “la concezione fenomenologica della coscienza rende”, quindi, “il ruolo unificante e individualizzante dell’Io totalmente inutile. È la coscienza, anzi, che rende possibile l’unità e la perso|nalità del mio Io” (Sartre 2011, 33-34).

37La coscienza, tuttavia, è governata, in quanto intero, dalle regole che specificano l’ontologia mereologica sviluppata da Husserl nella terza ricerca. L’unità della coscienza e, dunque, la coscienza in quanto tale, come sistema temporalmente organizzato secondo lo schema ritenzione-protenzione, è costituita da una specifica forma di organizzazione, definita dall’ontologia formale che regola i rapporti tra i vissuti e che funziona indipendentemente e autonomamente rispetto al campo della coscienza intenzionale che, anzi, rende possibile.

Conclusioni

38Ciò che questo contributo ha inteso mostrare attraverso una lettura incrociata di alcuni passaggi tratti dalle opere di Husserl e Stiegler può essere schematicamente articolato in tre punti:

  1. L'analisi della tecnica sviluppata da Stiegler, che fa ampio ricorso a risorse concettuali mutuate dalla tradizione fenomenologica, si sostanzia in un tentativo di pensare la tecnica come fenomeno originale e coestensivo al piano dell'umano. Da questo punto di vista, lo strumentario della fenomenologia si dimostra particolar|mente adeguato, nella misura in cui essa, all'altezza del problema della costituzione intenzionale, definisce i rapporti tra soggetto e oggetto come caratterizzati da una cifra di radicale correlazione e reciprocità.
  2. La “fenomenologia” stiegleriana, che è il risultato di un'ope|razione di ibridazione condotta volgendo lo sguardo ad altre prospettive filosofiche15, rivela un rapporto duplice con l'opera di Husserl: da un lato, essa recupera e sviluppa produttivamente le riflessioni husserliane sulla struttura della temporalità e sui rap|porti tra pensiero e calcolo; dall'altro, riconduce le considera|zioni husserliane relative alla tecnica nell'alveo di una tradizio|nale filosofia della tecnica.
  3. All'interno dell'opera di Husserl si può ritrovare – ed è questa l'indicazione teoreticamente più importante che si vorrebbe fornire – una rigorosa teoria non-egologica della coscienza che – seppur assente dalle riflessioni stiegleriane – potrebbe essere produttivamente combinata con l'ontologia della tecnica elaborata dal filosofo francese: l'analisi fenomenologica potrebbe così forse dimostrare – e qui ci limitiamo a suggerire una possibile traccia – come la coscienza intenzionale sia sempre un prodotto derivante da una rete di rapporti e di relazioni che avvengono all'interno di strutture che non sono prettamente né organiche né inorganiche, rivelandosi invece come strutture inorganiche auto-organizzate. La conclusione cui sembrerebbe dunque condurre una lettura incrociata della riflessione stiegler|iana sulla tecnica e delle analisi fenomenologiche sulla coscienza condotte da Husserl potrebbe essere enunciata come segue: la coscienza intenzionale, lungi dal potersi definire primariamente come prodotto biologico o (psico)fisico, sembrerebbe invece rive|larsi come prodotto eminentemente tecnologico.

    Notes

  • 1 La questione della tecnica è, com'è noto, il titolo di una celebre conferenza tenuta da Martin Heidegger nel 1953 (Cfr. Heidegger 1991, 5-28). Le riflessioni heideggeriane sulla tecnica svolgono un ruolo fondamentale nell'opera di Stiegler, in generale, e nelle pagine del testo del 1994, in particolare. Sull'importanza del saggio heideggeriano del 1953 si soffermano i contributi di Amore e Bon contenuti nel presente volume ai quali, quindi, si rimanda.
  • 2 Con “represso” si è voluto rendere il francese “refoulé”, termine con il quale la lingua francese traduce l'espressione freudiana Verdrängung (rimozione). Il fatto che il termine ricorra in corsivo nel testo sembra indicare come tale termine acquisisca un significato specifico, tecnico, assumendo un valore semanticamente molto prossimo, se non coincidente, con quello che esso manifesta in ambito psicoanalitico (Cfr. Freud 1976, 37): “la sua [della rimozione] essenza consiste semplicemente nell'espellere e tener lontano qualcosa dalla coscienza”, ovvero nell'impedire che qualcosa possa essere pensato.
  • 3 Dove non altrimenti indicato, le traduzioni italiane di passaggi tratti da questo testo sono ad opera dell'autore.
  • 4 Qualche pagina prima, Leroi-Gourhan aveva osservato come “l’esperienza neurochirurgica dimostra che le zone di associazione che av­volgono la corteccia motoria della faccia e della mano parteci­pano in modo congiunto all'elaborazione dei simboli fonetici o grafici” (Leroi-Gourhan 1977, 105).
  • 5 “Se la ritenzione primaria è la sedimentazione selettiva della percezione presente “nel flusso percettivo che sostiene la coscienza”, la ritenzione secondaria è la riattivazione di tale sedimentazione nell’atto di rammemorazione che costituisce il ricordo, che a sua volta retroagisce sulla ritenzione primaria orientandone l’attività selettiva; la coscienza si costituisce in questo vai e vieni tra ritenzione primaria e secondaria [...]Per Stiegler, tuttavia, il gioco tra ritenzioni primarie e secondarie è ulteriormente sovradeterminato dalle “ritenzioni terziarie” e cioè da tutti i supporti artificiali nei quali l’uomo, nel corso della sua storia, ha esteriorizzato la propria memoria, dal chopper risalente alla fine del terziario, alla scrittura alfabetica, fino alle tecnologie digitali. Per Stiegler, ne consegue che la costituzione della coscienza è geneticamente e strutturalmente condizionata dalla sua interazione con tutti i dispositivi tecnici – detti anche hypomnémata – che costituiscono l’ordine della “ritenzione terziaria”” (Vitale 2016, 81).
  • 6 Secondo Jocelyne Benoist, infatti, “è su questa distinzione che si edifica tutta la Filosofia dell’aritmetica, nella sua esplorazione complessa del concetto di numero” (Benoist 1997, 27).
  • 7 Per la traduzione italiana cfr. (Husserl 1984, 49-97).
  • 8 Intendo dire che, nella prospettiva che stiamo attraversando, è esclusa qualsiasi forma di rigida dicotomia tra natura e tecnica (cultura) o tra artificiale e naturale. Ciò che solitamente definiamo come naturale o tecnologico rinvia in realtà a diverse articolazioni tutte interne ad un medesimo fenomeno. In questo senso, non c’è alcuna “origine naturale” dell’uomo che si opponga ad una sua fase di sviluppo tecnologico.
  • 9 La tecnica, riassume Vignola, è concepita da Stiegler come “materia inorganica organizzata dall'uomo, ossia come persistenza di un ordinamento della materia in grado di in-formare l'animale umano” (Vignola 2016, 22).
  • 10 Tali lezioni furono pubblicate, a cura di Martin Heidegger, nel 1928 (Cfr. Husserl 1928, 367-498). Per la traduzione italiana, che integra il testo pubblicato nel 1928 con le correzioni aggiunte in calce e con indicazioni tratte dai manoscritti conservati presso l'archivio Husserl di Lovanio (Cfr. Husserl 1992).
  • 11 Qualche riga prima Husserl aveva osservato: “[...] un'analisi fenomenologica del tempo non può illustrare la costituzione del tempo senza tener conto della costituzione degli oggetti temporali”.
  • 12 In questo senso, Husserl si riallaccia – peraltro esplicitamente – alla tradizione brentaniana e alle analisi della filosofia della Gestalt, che in tale tradizione hanno la propria origine e nelle quali lo studio della struttura della percezione è sovente intrapreso a partire da un'indagine della percezione sonora. (Cfr. Piana 1966, 127): “L'esempio su cui più si sofferma Husserl, perché meglio atto a indicare la situazione descrittiva dell'oggetto temporale, è quello del suono”.
  • 13 In questo senso, l'espressione “quadrato rotondo” non indicherebbe, propriamente parlando, alcun oggetto possibile, vista la sua intrinseca contraddittorietà.
  • 14 “La logica tutto-parti”, osserva Robert Sokolowski, “è operativa anche nella trattazione husserliana della soggettività. Le complesse analisi di Husserl circa gli atti intenzionali, ad esempio, sono semplicemente applica­zioni della relazione parte-tutto all’inten|zionalità”, ovvero alla struttura portante della coscienza.
  • 15 La riflessione stiegleriana fonde, infatti, “con indubbia originalità due linee filosofiche che hanno sostanzialmente corso parallele nel Novecento, ovvero quella che da Husserl e Heidegger transita nella filosofia di Derrida e quella che, a partire da Bergson e attraverso Simondon, giunge sino all’empirismo trascendentale di Deleuze” (Molinar Min & Piatti 2016, 39).

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Publication details

Published in:

Grigenti Fabio, Aurora Simone (2021) Fenomenologia e tecnica. Genève-Lausanne, sdvig press.

Pages: 21-44

Full citation:

Aurora Simone (2021) „Tecnica e soggettività: Edmund Husserl e Bernard Stiegler“, In: F. Grigenti & S. Aurora (eds.), Fenomenologia e tecnica, Genève-Lausanne, sdvig press, 21–44.